DUSE,G. a cura di, Siamo in tempi di prova Padre Emilio Venturini e l’esperienza de La Fede (1876-1880). Ristampa anastatica di un giornale cattolico, Ed. Congregazione serve di Maria Addolorata e Nuova Scintilla, Chioggia, 2008. 

Presentazione

Siamo in tempi di prova: così inizia l’articolo intitolato Una benedizione del cielo apparso sul settimanale cattolico La Fede nel lontano 1879. Benedizione del cielo è per l’autore del testo – il pezzo come si usava allora non è firmato – la nascita dei comitati diocesani e parrocchiali che a Chioggia come nel resto del paese favoriranno lo sviluppo dell’associazionismo cattolico. Il clima del ventennio dopo l’unità nazionale in cui si inserisce questo fatto, i principali eventi che interessarono lo Stato italiano, la Chiesa, la nostra città tra il 1876 e il 1880, periodo di pubblicazione del giornale, vengono oggi riproposti all’attenzione generale attraverso la ristampa anastatica di tutti i numeri del settimanale conservati presso la Biblioteca Sabbadino, che verrà prossimamente presentata al pubblico.

L’edizione è interessante anche perché consente di approfondire la figura di Padre Emilio Venturini che tanto si dedicò come direttore al giornale con la sua cultura e spiritualità. Per dare un saggio di quella passione del presente che consentì a Padre Emilio di svolgere così efficacemente quel compito critico ma allo stesso tempo costruttivo che era stato assegnato alla stampa cattolica dalle autorità ecclesiastiche, tra i tanti materiali che il giornale offre abbiamo scelto un nucleo riguardante la Madonna della navicella come contributo alle celebrazioni in corso.

I testi che prenderemo in considerazione sono i seguenti: Chioggia e la sua Madonna della navicella, un racconto non firmato (ma attribuibile) in sei puntate pubblicato sul giornale nel 1876, che riprende alcune parti dal Discorso sopra la Madonna di Marina del 1865, questo sì firmato; La Madonna della navicella, un articolo del 1879, molto simile, che copre tutta la prima pagina; brani del libro Guida Religiosa di Chioggia, una visita a Chioggia ed ai santuari della città e della Diocesi che il Venturini pubblicò, firmato, nel 1897, un libro prezioso anche per capire la linea del giornale e ricondurla allo stesso autore. Per valutare meglio la portata delle idee del Venturini incroceremo questi testi con due opere precedenti da lui usate come fonte di documentazione: quella di Mons. Calcagno risalente al 1823 e quella di Mons. Penzo del 1863. Stesso soggetto ma diversa la pennellata, diversa la situazione storica, diverse le finalità. Spicca nel Venturini la sua consueta capacità di attualizzazione, adeguata al mezzo comunicativo.

Nel Calcagno l’obiettivo è la gestione della memoria: dopo il racconto dell’Apparizione si parla dell’organizzazione del culto, della pratica devozionale, degli accordi tra le parti per l’amministrazione della rendite, delle varie convenzioni. Nel Penzo l’obiettivo è la fissazione dell’immagine, dell’icona di riferimento: emerge in questo caso la magnificenza dell’incoronazione. Diverso il Venturini. Il Venturini si rifà ad entrambi ma nel sintetizzarli li supera. Qual è il passaggio necessario? Dopo la breccia di Porta Pia, in pieno clima liberale è la difesa del sacro, la possibilità di sopravvivenza del sacro. Nella società moderna sempre più incredula l’Apparizione si rinnova finchè permane, autentica, l’immedesimazione della comunità in quel valore simbolico. Vogliamo confrontare tra loro le parti iniziali? 1823: Ampio discorso preliminare del Calcagno centrato sui caratteri delle apparizioni e il modo in cui si compiono ma “intorno alla possibilità delle apparizioni non è necessario che molto mi estenda”. Il Calcagno preferisce glissare. 1863: il Penzo tace. 1876: non tace La Fede. Articolo robusto, e “contundente”, non firmato: I miracoli. Il Venturini (?) – e chi se no? – non si lascia intimidire dal materialista, da chi dice che in tanta luce di progresso non devono intromettersi i miracoli. Entra nel merito delle possibilità.

Perché tra le tante forze presenti nell’universo escludere una forza superiore che di quando in quando produca effetti di cui non sono capaci le forze inferiori? E comunque eliminare il miracolo è eliminare Dio dalla natura “come si eliminerebbe dalla natura l’uomo negando gli effetti della forza sua intelligente”. L’altro passaggio da confrontare è quello che riguarda le ragioni del castigo divino. Calcagno: piuttosto generico nel motivare la corruzione con le “passate guerre”. Più preciso questa volta il Penzo che imputa la corruzione al frequente coinvolgimento dei chioggiotti nella politica espansionistica veneziana. È Venezia che detta ai chioggiotti l’ordine di approntare le galee da spedire contro il nemico, dato che sono esperti dell’arte militare. Venturini: soprattutto nel primo testo, quello in sei puntate dove ha più spazio, si concentra più che sulle cause sugli effetti di questa corruzione. Effetti che si potrebbero benissimo riprodurre in qualsiasi momento storico, anche al presente. La perdita del senso religioso è come una forma di contaminazione ambientale. Una macchia che dilaga nelle vie, tra le barche, nelle lagune. Si spezza un antico equilibrio tra il popolo e il suo territorio di appartenenza: non si scorgono più i pescatori portare il tributo del mare agli altari. Il fragore di questa lacerazione raggiunge il lettore attraverso l’ampia descrizione della rivolta di tutti gli elementi naturali.

Trema persino la terra. È in questa cornice che il Venturini tra i tanti possibili riferimenti sceglie di caratterizzare la figura mariana attraverso Ester, l’ebrea che, elevata al rango di regina, salva il suo popolo dallo sterminio a cui l’aveva condannato il re persiano Assuero, suo sposo. L’intenzione infatti è quella di accentuare i vincoli che legano il popolo chioggiotto a Maria, tanto da scrivere: “nel momento in cui la diciamo enfaticamente la nostra Madonna siamo sicuri che ella si compiace di questo nostro vanto”. L’uso di effetti speciali prosegue con il Venturini che si rivolge direttamente al lettore e ne stimola la partecipazione emotiva: ed eccoci tutti guardare gli orti con gli stessi occhi sconsolati del Baldissera, ben tratteggiato psicologicamente. L’esposizione poi prosegue lineare seguendo la traccia del Calcagno fino all’impennata – tutta nello stile del Venturini più ironico – nella quarta puntata dove si sfida il lettore a cogliere una verità sottintesa. Come si fa a disprezzare il Medioevo, a considerarlo tutto tenebre e ignoranza quando invece, lo dimostra il comune impegno nella costruzione della chiesetta alla Madonna, si poteva contare sull’armonia tra vescovo e magistrato? I veri tempi di regresso sono quelli in cui si è ricercata la frattura istituzionale. Questo il succo dl messaggio.

Il richiamo forte all’attualità è ripreso sul finale di entrambi i testi. Ma prima, come conclude il Calcagno? Il Calcagno termina con il riscontro di una fede vissuta a Chioggia nel privato: la ritualità è visibile ma le richieste e le grazie rimangono occulte, se ne scorge traccia nei voti appesi agli altari; nella dimensione pubblica sono ricordate richieste per eventi esterni: 1811, il felice parto della regina; 1813-14, il possesso delle province da parte del monarca. Il Penzo invece slitta verso il locale ma con una esortazione: Chioggia può andare superba dell’incoronazione ma non prevalgano le pompe esteriori, si onori Maria con la semplicità del cuore. Anche qui la vena intimista del raccoglimento. Non è intimista il Venturini. Agite, agite: questo l’incitamento del papa rivolto al laicato cattolico a farsi presenza viva e visibile nella società; questo l’incitamento che il giornale riprende e diffonde non solo per obbedienza ma anche con profonda convinzione. Così, e non poteva essere altrimenti, le sei puntate si concludono con un tributo a Pio IX, glorificatore di Maria, ma glorificatore in quanto i chioggiotti hanno chiesto e ottenuto che in suo nome il Vescovo incoronasse la Madonna. La città manifesta una forte volontà devozionale e il Papa riconosce e premia l’iniziativa.

Il secondo finale è ancora più significativo: dato che l’articolo in prima pagina ha la funzione di fondo assume il tono di una denuncia, anche veemente. Si chiede a Maria di allontanare i pericoli, quali? Due, speculari. Un sapere antireligioso, egemonico, che si approfitta dei più semplici, dei più schivi; ma anche una supina ignoranza che passivamente si lascia sottomettere senza opporre resistenza. 1897, il terzo testo è del tutto particolare, d’altra parte sono passati parecchi anni dalla Fede e la Rerum Novarum campeggia sullo sfondo. Il racconto dell’Apparizione è inglobato nel tessuto narrativo della Guida. È narrazione nella narrazione dato che, come scopriremo, l’asse portante della trama è la supplica e la concessione di una grazia. Il capitolo che ci interessa si apre con la descrizione della città in festa per l’anniversario dell’Incoronazione. Gli occhi di tutti sono puntati sul nuovo campanile di S. Giacomo. A questa allegria fa da contrasto la mestizia di uno dei tre personaggi della storia, un nobile forestiero che troviamo raccolto in preghiera davanti all’altare della Navicella. Lo raggiunge un giovane abate – i due, più un terzo, un professore, si sono conosciuti qualche giorno prima sul vaporetto da Venezia e hanno subito fraternizzato – che cerca dapprima di rincuorarlo poi lo invita ad osservare le opere d’arte conservate nella chiesa.

Per svagarlo, usciti da S. Giacomo, l’abate lo porta a visitare la chiesa della SS. Trinità e quella dei Filippini e sempre l’abate è prodigo di informazioni sulla storia dei luoghi, sul patrimonio culturale delle chiese, sul valore anche civile di questo patrimonio che rispecchia la storia della città. La visita alla chiesa dei Filippini suscita rimpianto nel giovane abate che ripensa all’oratorio e alla casa della congregazione demaniati dallo Stato. Imboccando la calle dei Filippini incontrano il loro amico, il professore, appena uscito dall’istituto Sabbadino, ex casa della congregazione. Insieme si recano a Sottomarina. Il forestiero appare più sereno, incuriosito da quello che vede intorno a sé. Tutto questo percorso fa da premessa al tema centrale che viene trattato durante la sosta. I tre volano alla spiaggia e si siedono sui murazzi, il panorama è stupendo, la vista del mare aperto porta a confidarsi. Il forestiero chiede all’abate di raccontargli la storia dell’Apparizione e lui la legge direttamente dal libretto di mons. Penzo che ha nella saccoccia, con l’approvazione del professore. Anzi, si dividono i compiti: l’abate legge come religioso la parte relativa al miracolo fino alla scomparsa della navicella, il professore racconta come storico cosa si è poi fatto in onore di Maria. A quel punto il forestiero che ha riacquistato la speranza accenna al motivo del suo dolore: vedovo, gli rimane solo una figlia, Irene, fragile e delicata. La conclusione di questa parte della giornata trascorsa insieme è molto intensa. Rialzatisi, tutti e tre gettano un ultimo sguardo verso il mare e gridano all’unisono Viva Maria Stella maris. Come finisce la storia? Nelle pagine seguenti leggiamo che il mattino dopo nella chiesa di S. Andrea il forestiero chiede all’abate di officiare una messa all’altare dell’Addolorata per imparare il dolore rassegnato, “quello che non avvilisce ma ci fa grandeggiare”. Alla sera, di ritorno dalla visita ai santuari del litorale, in rivetta Vigo una giovane donna li attende. È la figlia del forestiero che ha raggiunto il padre a Chioggia dato che improvvisamente ha recuperato le energie. Il momento del ricongiungimento è emozionante.

Ormai la visita alla città è conclusa ma prima del ritorno alla propria dimora sui colli, il barone e la baronessina di S. Gervasio, questa la loro identità, donano un cuore d’argento alla Madonna. In quest’operetta dunque la Madonna della Navicella è stella che guida lungo il percorso. Invocare Maria come stella significa raggiungere la consapevolezza della propria posizione rispetto alla direzione cercata, e proseguire. Ciascun personaggio manifesta un bisogno ma testimonia anche il ritrovamento di un’energia interiore che gli permette di ri-orientarsi. Il barone sa che non deve lasciarsi sopraffare dal dolore della perdita dei suoi cari; la baronessina sa che deve irrobustire il carattere anche senza il sostegno fisico della madre; il giovane abate, “svelto come un daino e ardente come uno zolfanello”, sa che deve evitare gli scogli della giovinezza. E il professore? Il professore non esprime i propri bisogni ma li lascia intuire. Gran fumatore di sigarette odorose insegna nelle scuole tecniche ma non è del tutto gratificato dall’insegnamento, tant’è che appare impaziente di concludere una riunione scolastica per raggiungere i suoi compagni. Ben altre sono le sue potenzialità. Scrittore di storia chioggiotta, le sue soddisfazioni se le va a cercare nei momenti liberi alla Marciana per consultare le fonti e fare poi “le bucce” a quegli studiosi che scrivono a casaccio su Chioggia.

Qual è il cruccio del professore? Non lo interessano i riconoscimenti ufficiali, anche se avrebbe meritato ben dieci volte il cavalierato dal governo liberale. Gli interessa, da intellettuale cattolico moderato, che la tradizione sia tutelata, perché “tra un allora tutto chiesastico e un oggi tutto laico c’é il rischio che i grandi nostri libri vengano gettati come ciarpe inutile”. Popolo-educazione-persona: la sequenza che si estrapola da queste letture è il vero leit-motiv del giornale la Fede. Nel momento in cui lo Stato nazionale fa il suo esordio e opta per il centralismo, radica lo statalismo e privilegia il rapporto individuo-Stato, si suggerisce un altro approccio. Differenza nell’unità. Il popolo esiste prima di tutto come comunità locale che nel trarre la propria identità dalla coscienza dei luoghi sviluppa motivazione, matura auto-organizzazione. La libertà educativa assicura continuità ai patrimoni identitari e insieme attitudine all’elaborazione.

La persona, per definizione unità relazionale costitutiva, legittima l’apertura all’altro come condizione fondamentale dell’io e quindi garantisce la coesione necessaria per una convivenza allargata.

G. D.